Stadio della Roma, Papalia: “Amianto rimosso e nessun allagamento”

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Gaetano Papalia, membro della società proprietaria dei terreni venduti a Parnasi per la costruzione dello stadio della Roma,è intervenuto questa mattina sulle frequenze di Centro Suono Sport. Queste le sue dichiarazioni:

Come è entrato in contatto con Parnasi per la vendita del terreno?
La genesi è ante Parnasi. Verso la metà degli anni 2000 noi proprietari dell’area abbiamo iniziato a pensare di cedere l’area, perché le società che gestivano l’ippodromo non erano più in grado di pagare il canone alla proprietà, perché il luogo avrebbe dovuto essere più frequentato, in quanto la manutenzione di ambienti così grandi e antichi non erano più sostenibili. Quindi la proprietà ha pensato fin dal 2003/2004 di sondare il mercato immobiliare per venderlo, ma l’idea dello stadio nasce intorno al 2008, quando ho avuto modo di incontrare i rappresentanti di una società chiamata Smart srl, che era una società che collaborava con il presidente Sensi e poi con la figlia Rosella. Collaborava per tutte le questioni tecniche e di cui la società Roma aveva bisogno, e quindi si era occupata anche di un progetto che ridisegnasse la rete stradale, viaria, intorno a Tor di Valle, nell’ipotesi che potesse essere il sito per il nuovo stadio della Roma, a cui già la famiglia Sensi aveva pensato prima che se ne occupassero gli americani e Parnasi. Evidentemente, l’impegno che dovevano affrontare sarebbe stato così oneroso che le casse della Roma in quel momento non consentivano operazioni del genere, quindi l’ingegnere che si presentò, e con cui io ho discusso in diverse occasioni, presentò un accordo di massima che poi sfumò. L’anno dopo trovammo una possibilità di vendita a un fondo inglese molto serio però in quella primavera del 2009 il TAR annullò il piano regolatore generale di Roma per un vizio di formazione della volontà dell’assemblea capitolina nel deliberare quel piano. Un vizio formale che era presumibile che la mentalità anglosassone non riuscisse a comprendere fino in fondo, e quindi, nel momento in cui si sarebbe dovuto stipulare il contratto, gli inglesi dettero forfait perché temevano che le modifiche al piano regolatore creassero dei problemi che loro non sarebbero riusciti a governare. Era un buon contratto, sui 50/52 milioni di euro. Una formalità, perché poi in quel luglio il Consiglio di Stato riformulò la sentenza del TAR e ripristinò la validità del piano regolatore generale”.    

Come si arriva a Parnasi?: “A Parnasi  si arriva per una comune conoscenza che ci ha messi in contatto: il dottor Mei, che era allora presidente della società Capannelle e con cui avevo un rapporto di amicizia molto stretto. Purtroppo è scomparso qualche anno fa.  Luca Parnasi, a dir la verità, io chiesi di conoscerlo perché mi interessava  capire se era disponibile a sponsorizzare la squadra di pallacanestro che gestivo in quel periodo. Parlammo anche di dell’area di Tor di Valle, e lui si disse disponibile a rilevarla per intero con un preliminare. Nessun costruttore avrebbe acquistato un’area in quegli anni, e neanche oggi, se nn condizionando il contratto di compravendita alla firma della convenzione urbanistica, ovvero alla firma degli atti con cui il comune consente di cantierizzare l’aera. Nessuno si sarebbe preso un rischio, si cerca di pagare le caparre più basse possibili vista anche la concorrenza. 

Chi assicurava a Parnasi la vittoria per la cantierizzazione? Ha voluto rischiare?

Ogni costruttore ci provava, solo che c’erano costruttori che non ci credevano. Soprattutto non credevano che nella Roma ci fosse la volontà effettiva di fare il loro stadio, non è che non credevano che le autorità comunali o regionali avrebbero autorizzato lo stadio. Io ricordo che mi dissero che uno che mi offrì una cifra irrisoria per una parte dell’area era stato mandato da Caltagirone, ma in realtà non so se è vero. Poi c’erano altri costruttori che dubitavano che la Roma volesse costruire. Parnasi comunque non aveva intenzione di sottoporre alla Roma questa possibilità perché predispose un progetto di massima tutto residenziale, usando la cubatura dell’area e pensando di utilizzare cubature di compensazione che si portava dietro da operazioni immobiliari che poi si trasformarono in parco pubblico e che l’amministrazione aveva dato come credito. Oltre alla cubatura esistente Parnasi pensava potesse far atterrare alcune proprie cubature in credito dal Comune per questo villaggio residenziale che aveva una serie di canali: una piccola Amsterdam. Questo progetto fu anche approvato dalla XII amministrazione. Quando dissi a Parnasi di offrire Tor di Valle agli americani lui era scettico e intimorito. Io seppi che la Roma aveva commissionato alla Goldman Sachs la ricerca di un terreno per il nuovo stadio: di volontà mia anche se avevo sottoscritto nel 2010 un preliminare con Parnasi, nel marzo del 2012 andai in via Veneto nella sede della Goldman per sapere se erano interessati all’area. La dirigente che stava assumendo la pratica disse che Tor di Valle non era stata presa in considerazione perché loro prendevano in considerazione solo le aree che i proprietari papabili erano intenzionati a mettere a disposizione. Io obiettai che stavano facendo un cattivo servizio alla Roma, loro mi diedero poi appuntamento alla settimana seguente dicendomi di aver incluso l’area di Tor di Valle, che poi venne selezionata tra le prime settanta, e poi la migliore. E questo dovrebbe far riflettere per tutte le preoccupazioni che sono solo di carattere strumentale”.

Nel progetto che viene pubblicato dalla Regione si dice che sono stati fatti cinque prelievi e in due di questi ci sarebbe la presenza di amianto. A lei risulta?: “Assolutamente no, perché tra il 2000 e il 2001 incaricammo una ditta specializzata di rimuovere e smaltire tutto l’amianto dell’ippodromo che era prevalentemente costituito dalle tegole di eternit della copertura dei mille box che ci sono. I box sono suddivisi in 24 box l’uno, e la ditta ha rimosso tutto. Mi ricordo che questo smaltimento ci costò circa settecento milioni. Poi facemmo un ultimo piccolo smaltimento delle tettoie delle biglietterie, ma 4-5 mq, e all’ingresso delle scuderie”.

Ci sono mai state esondazioni?: “No, infatti mi ha meravigliato questa preoccupazione, soprattutto per le associazioni ambientali che non si sono mai preoccupate allora dei settecento cavalli che stanziavano all’interno dell’ippodromo. Nessuna esondazione del Tevere, e anche quando le acque basse derivanti dalle piogge forti – anche quando sull’Ostiense veniva sommersa – qui a Tor di Valle entravano in funzione automaticamente due idrovore che sono collocate all’ingresso di Tor di Valle, poste all’entrata dell’ippodromo. Queste pompe appena l’acqua diventava insistente si mettevano automaticamente in funzione e prosciugavano tutto. L’acqua veniva condotta sul cervello del collettore che corre lungo la via del Mare. Noi non abbiamo mai dovuto annullare in 50 anni una sola giornata di corse per maltempo, solo quando ha nevicato perché non avevamo lo spazzaneve. L’unica a essere competente nel definire un’area a rischio esondazione in quel quadrante è l’autorità del bacino del Tevere che ha sempre escluso Tor di Valle, indicando un rischio solo nel Torrino per una possibile esondazione nel fosso di Vallerano”.

Lei è mai stato contattato dalla Sovrintendenza ai beni archeologici?: “Mai, assolutamente. Quando è stata fatta la traslazione nel 2013, il manufatto aveva 53 anni. Ricordo che Parnasi acquisì una certificazione in cui la Sovrintendenza escludeva il valore culturale dei manufatti all’interno del comprensorio. Quella certificazione aveva tranquillizzato sicuramente il notaio”.

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